Per la nostra rubrica Italiani all’estero, oggi Cristina racconta la sua storia! Buona lettura Una soltanto credo sia la domanda che più mi confonde: “programmi per il futuro?”. 20 anni e già un piccolo sguardo gettato al mondo: lo scorso anno dopo il diploma, in preda alla confusione da scelta universitaria decisi di prendermi un anno sabbatico, il terribile, lo stra-sconsigliato anno di pausa, e partire. Biglietto di sola andata per Londra, 19 anni appena compiuti, un CV vuoto e nessun sostegno. “3 settimane e torni in Sicilia”, ” ma soccu voe fare accapire?” (trad. Ma cosa vuoi fare intendere con questo gesto) tra le frasi che accompagnarono la mia scelta, ma nessun ripensamento. Aereo mattutino e nuova realtà dopo sole 3 ore. Ripenso alle sensazioni che provavo i primi tempi, tutto ai miei occhi da adolescente pareva surreale. Io, da sola, in una delle più grandi metropoli del mondo, con l’incoscienza che in un mix perfetto si combinava al coraggio e la voglia di mettermi alla prova. Non fu semplice inizialmente tra lavori sottopagati, sveglie alle 5 del mattino per lavorare in un bar a gennaio, e tante altri ostacoli che se non avessi affrontato con la carica giusta, avrei mollato senza pensarci due volte. Adesso, nella mia stanza universitaria, dopo una prima sessione d’esami riuscita con successo (tiè! A chi diceva che non avrei più studiato), mi capita spesso di pensare a quell’avventura, che mi ha totalmente cambiata.
Sono grata a Londra per avermi introdotto a nuove culture, per avermi fatto conoscere gente proveniente da tutte le parti del mondo, per avermi messo alla prova e per avermi aperto gli occhi. Quando dissi ai miei colleghi di lavoro che volevo tornare in Italia, non perché mi mancasse casa o la pizza con le patatine (che a Londra mi avevano rifilato con l’ananas prendendomi in giro), non fecero altro che dirmi quanto stessi sbagliando, quanto fosse inutile sprecare le proprie energie nel mio paese. Quasi 20 anni, un posto di lavoro con contratto, una nuova cerchia di amici e stima reciproca con colleghi e datori. Non so e forse non avrò una risposta nel breve termine sulla ragionevolezza della mia scelta. Su una cosa però sono certa: Io voglio fare qualcosa, voglio trovare il mio posto nel mio Paese. È vero, siamo nell’era della globalizzazione, siamo cittadini del mondo ed io per prima me ne sono resa quando mi sono ritrovata a lavorare con gente siriana, spagnola, polacca, tedesca, irachena… mi sono sentita offesa quando mi hanno detto “ma perché voi italiani venite tutti qui, tornate al vostro Paese!”. Io al mio Paese ci sono tornata, ma per mia scelta. Sogno che i ragazzi della mia età, che amano la loro terra (perché la Sicilia, l’Italia le porti nel cuore!) non siano costretti ad emigrare per cercare fortuna. Ho deciso di lottare , di ingegnarmi e studiare. E non voglio neanche avere paura. Cadrò nello stereotipo citando Falcone (una Siciliana che cita Falcone, uh che novità!), ma è un po il mio mantra, la frase attaccata al muro della mia camera:
“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare.”
Senso di giustizia, sogni di una ventenne che malgrado svariate esperienze non ha capito niente? Forse. Ma io intanto credo nel mio Paese e alle persone che non mollano, sognando che L’Italia torni a splendere.